Black Mirror – Il lato oscuro della tecnologia
Oggi è praticamente impossibile non avere confidenza con uno schermo. Poco importa se si tratta di quello di un vecchio televisore a tubo catodico o del Display Retina HD dell’ultimo modello di iPhone.
Nella società odierna l’uomo è sempre più assuefatto alla tecnologia, passiamo sempre più tempo davanti allo smartphone, al tablet, al pc e al televisore: insomma siamo sempre davanti a un Black Mirror, uno specchio nero, che sembra quasi risucchiarci l’anima.
Black Mirror è una serie antologica: non solo non c’è una trama orizzontale che percorre tutta la serie, ma ogni puntata è a sé, tutti gli episodi sono caratterizzati da scenari e personaggi differenti, unico filo conduttore è una critica all’abuso della tecnologia.
È una seria distopica e fantascientifica, ma neanche troppo “fanta”: non tutte le puntate sono ambientate in un futuro lontano e pieno di tecnologie avveneristiche, ma anzi molte sono attualissime e descrivono fenomeni che abbiamo conosciuto nell’ultimo decennio.
La sensazione che permea le varie puntate è quella di un leggero senso di ansia, considerando che tutto ciò mostrato a schermo potrebbe benissimo accadere a ciascuno di noi nel giro di pochi anni. Tutte le situazioni mostrate evidenziano come la tecnologia abbia preso il sopravvento e l’uomo invece di utilizzarla a proprio vantaggio ne sia posseduto oltre che esserne una vittima.
Ovviamente, la visione di una serie di questo genere, è un’esperienza altamente personale che ci toccherà di più o di meno in base al nostro attaccamento alla tecnologia e alle sue implicazioni. Non essendoci una trama a legare i vari episodi, ogni puntata fa storia a sè, ma la domanda che vi accompagnerà con lo scorrere dei titoli di coda sarà sempre una: e se succedesse a me, io cosa farei?
Charlton “Charlie” Brooker, sceneggiatore/produttore inglese formatosi come giornalista per la rivista PC Zone è l’ideatore della serie, debuttata nel dicembre 2011.
La prima stagione è composta soltanto da tre puntate. Nessuna empatia da sviluppare per il protagonista di turno, nessun cliffhanger (avete presente quando la narrazione si interrompe all’improvviso, nel bel mezzo di un colpo di scena?) a tormentarci per mesi. Soltanto storie, scritte da Brooker, che immaginano un futuro parecchio verosimile, che raccontano di tecnologie a volte neanche troppo lontane e che provano a parlare di cose che (ancora) non esistono per farci riflettere su cose che invece esistono eccome: come ad esempio uno splendido episodio della seconda stagione intitolato Torna da me, in cui si immagina che la nostra attività virtuale (post di Facebook, video registrati sullo smartphone ecc.) possa venire utilizzata per creare un’intelligenza artificiale che sopravviva alla nostra morte, permettendo ai nostri cari di rimanere in contatto con un’entità abbastanza simile all’originale trapassato. Da brivido se pensiamo che successivamente in Israele è stato lanciato il primo social network dedicati ai defunti.
Prendendo l’idea proprio da questo episodio, la bielorussa Eugenia Kuyda ha creato un bot che risponde automaticamente ai messaggi imitando la personalità di Roman Mazurenko, il suo migliore amico morto nel 2015 in un incidente stradale. Il software risponde basandosi su migliaia di messaggi di Mazurenko messi a disposizione dai suoi amici: non solo risponde con le frasi di Mazurenzo, ma è anche capace di combinare i suoi messaggi per fornire risposte totalmente nuove, ma coerenti con il suo modo di esprimersi.
Il tema delle intelligenze artificiali che imitano la personalità dei defunti è inoltre trattato nei film A.I. di Spielberg del 2001 e Trascendence con Johnny Depp del 2014.
Dopo i primi sei episodi (più speciale di Natale) trasmessi su Channel 4 in Inghiltera, Brooker ha spostato la sua serie su Netflix e venerdì 21 ottobre è uscita la terza stagione, il cui testimonial italiano scelto da Netflix è stato Salvatore Aranzulla. Sono sei episodi, distribuiti in contemporanea in pieno stile Netflix, che hanno fatto discutere milioni di fan. La prossima stagione, composta da sei puntate è già stata annunciata ed è prevista per l’anno prossimo.
Ora, se a Black Mirror si chiede di continuare ad essere nuova dopo cinque anni, probabilmente si resterà delusi: l’intuizione della fantascienza social è sostanzialmente la stessa del 2011, anche perché nel frattempo il mondo non è che sia cambiato così tanto.
Guardando alcuni episodi si ha quindi l’impressione che la serie rinunci all’ambizione di anticipare la vita che sarà per “limitarsi” a raccontare un’esasperazione di quello che è oggi: si pensi alla terribile app che consente di votare in diretta la popolarità di chiunque si abbia a portata di sguardo (Caduta libera) e ai suoi evidenti legami con Facebook/Instagram (Rate me è un simpatico sito ispirato alla puntata); oppure all’episodio Zitto e balla, forse il più angosciante di tutta la stagione, in cui di fatto ci si limita a parlare di hacker, senza introdurre nessuna tecnologia nuova.
Allo stesso tempo è però impossibile non considerare la creatura di Charlie Brooker non solo in ottima salute, ma addirittura in crescita costante.
Intanto perché gli episodi sono sempre più validi sia dal punto di vista tecnico che da quello della varietà ma soprattutto perché il loro autore continua a mantenere una lucidità di analisi impressionante se non addirittura spaventosa, che gli consente di parlare in maniera efficace anche di temi abusatissimi quali il cyberbullismo, l’eutanasia o i matrimoni gay. Ancora una volta, è difficile guardare Odio universale, in cui per uccidere basta pubblicare un tweet, senza pensare con leggero senso di nausea a decine di storie di abuso impunito solo perché praticato su internet; così come è davvero commovente seguire, passo dopo passo, la storia d’amore tra due donne in fin di vita dentro la cornice virtuale di San Junipero (l’episodio migliore per chi scrive, il peggiore secondo altri fan della serie: o lo odi o lo ami, secondo me è bellissimo). E allora poco importa se la serie non conferma in toto l’immaginazione brillante conosciuta in precedenza.
A conti fatti la nuova stagione di Black Mirror è vincente semplicemente perché continua a parlare di noi: delle nostre angosce, delle nostre perversioni, dei desideri più irrealizzabili e delle cattive abitudini apparentemente più banali. Ci sbatte in faccia sei conseguenze estreme del nostro rapporto con la tecnologia di massa e prova a mostrarci sei diverse facce di un mondo all’insegna dell’interconnessione continua e della condivisione ad ogni costo. Interrompe per pochi istanti le meraviglie dei dispositivi elettronici e ci costringe a guardare il nostro riflesso sfocato dentro lo schermo nero. Per questo è, secondo me, addirittura superiore alle precedenti.